Eugenio Boer
Eugenio Boer è un pellegrino. Padre olandese, madre ligure-siciliana. Ma pellegrino di quale religione? Nella chiesa della curiosità. I primi 7 anni della sua vita li trascorre in Olanda. Rimane appeso all’Italia attaccandosi spasmodicamente al grembiule infarinato della nonna, trasferitasi a casa Boer dopo essere rimasta vedova. I suoi genitori gli hanno sempre lasciato fare quello che voleva, ma solo dopo che aveva fatto quello che volevano loro. Leggete scuola, studio, diploma. Il risultato dell’equazione è un ragioniere che dall’età di 13 anni è dietro ai fornelli.
La sua gavetta è passata per le mani di Alberto Rizzo a Palermo, Kolja Kleeberg a Berlino, Gaetano Trovato a Colle Val d’Elsa, Norbert Niederkofler in Val Badia. Otto mani che a turno hanno colpito, spiegato, battuto sulla spalla, applaudito, salutato, accolto e accompagnato un mezzosangue con l’x-factor. Il primo gli ha insegnato l’alta cucina come stile di vita, il secondo il rigore assoluto, il terzo l’eleganza e la bellezza, il quarto il non essere schiavo di alcuno schema.
«Non sono uno che parla molto, ma amo ascoltare gli altri e trasformare in piatti i miei ricordi e i ricordi degli altri». L’ordine superiore di chi non cucina per se stesso. Di chi crea monumenti commestibili da mettere sulla tavola di altri pellegrini, sì ecco, non semplicemente di turisti dell’alta cucina, ma di pellegrini che, grazie alla loro devozione, sapranno essere testimoni dei momenti magnifici che hanno vissuto.